Nel mondo del fast fashion, dove le collezioni si susseguono a ritmi serrati e il mercato è guidato da logiche stagionali e tendenze effimere, uno dei principali problemi per i retailer è l’invenduto. Capi che non riescono a trovare un acquirente diventano rapidamente un costo logistico, oltre che ambientale e finanziario. Tuttavia, in un contesto sempre più orientato alla sostenibilità, c’è chi ha deciso di affrontare questo tema con visione sistemica e innovazione concreta e frugale.
È il caso di OVS, il principale gruppo italiano di abbigliamento con oltre 2.200 negozi tra Italia ed estero e un fatturato di 1,5 miliardi di euro nel 2023, che ha inaugurato a Bari un centro all’avanguardia per affrontare il problema dell’invenduto in modo radicale. Qui, nella zona industriale della città, è nato un polo tecnologico multifunzione di 15.000 metri quadrati dedicato alla riconversione, ricondizionamento e redistribuzione dei capi che restano invenduti nella rete retail.
Il problema: capi invenduti e disordine di magazzino
Ogni anno OVS immette sul mercato oltre 200 milioni di capi. Alla fine di ogni stagione, tra il 5% e il 10% ritorna in magazzino. Le ragioni sono diverse:
Buchi di taglia che compromettono l’assortimento
Capi orfani non abbinabili ad altri della collezione
Errori di design o modelli poco performanti
Taglie e colori disassortiti su scala nazionale
Problemi di distribuzione lungo la catena del retail
Capi danneggiati o manipolati.
Tutti elementi che generano scorte residue frammentate e disorganiche. Senza un sistema di gestione evoluto, questi capi diventano immobilizzazioni di magazzino e, peggio ancora, potenziali rifiuti tessili.
La soluzione frugale: economia circolare applicata al fashion
Da questa consapevolezza nasce il progetto barese, presentato alla stampa da Stefano Beraldo, amministratore delegato di OVS S.p.A. , come parte integrante della strategia del gruppo per la transizione ecologica e digitale.
«Abbiamo approfondito le caratteristiche di questa fase del ciclo produttivo e ci siamo accorti che esistevano opportunità di business e di difesa dell’ambiente», ha dichiarato Beraldo. «Il fine ciclo del prodotto può essere gestito con la meccanizzazione e l’innovazione».
Il centro è dotato di un impianto di ricondizionamento capace di processare 70.000 capi al giorno, con l’obiettivo ambizioso di raggiungere 15 milioni di pezzi recuperati entro il 2026. I capi rientrati vengono classificati, sanificati, riconfezionati, rivalutati e redistribuiti secondo un nuovo criterio di assortimento ottimizzato.
Non solo: quelli che non possono essere reinseriti nella rete vendita vengono smaltiti responsabilmente o destinati a ulteriori usi (come la trasformazione in nuovi materiali tessili), in pieno spirito di economia circolare.
Efficienza lean e gestione frugale
Il progetto incarna pienamente i principi del lean thinking: eliminazione degli sprechi, valorizzazione delle risorse esistenti, ottimizzazione dei flussi logistici. E si inserisce anche nella logica del frugal management, ovvero la capacità di fare di più con meno, riducendo i costi e l’impatto ambientale attraverso l’innovazione e la creatività attraverso l’innovazione e la digitalizzazione.
Non si tratta solo di un investimento green: è una vera e propria strategia industriale. L’invenduto, lungi dall’essere un problema, diventa materia prima seconda per creare nuovo valore.
Impatto occupazionale e innovazione digitale
Il polo ha richiesto un investimento complessivo di 33 milioni di euro, realizzato anche grazie al sostegno di Puglia Sviluppo tramite un contratto di programma. Ad oggi, il centro impiega 55 persone, tra cui laureati in discipline digitali, esperti di intelligenza artificiale e cyber security, e operatori specializzati nella rilavorazione dei capi. A regime, l’organico salirà a 125 dipendenti.
Il centro, infatti, non si limita a processi meccanici: è anche un hub di sperimentazione tecnologica. Algoritmi di AI sono utilizzati per l’analisi predittiva della domanda e per la pianificazione dell’assortimento. Sistemi avanzati di data management tracciano il ciclo di vita di ogni capo, facilitando decisioni rapide e data-driven.
Un modello per il futuro del fashion
Con questa iniziativa, OVS dimostra che non esiste più una linea netta tra produzione e post-vendita: ogni capo deve essere pensato non solo per essere venduto, ma anche per essere rigenerato, reimmesso, ripensato. Un approccio circolare che ha ricadute importanti anche in termini di reputazione del brand, fidelizzazione del cliente e compliance normativa.
In un settore sotto crescente pressione per l’impatto ambientale e sociale, il centro OVS di Bari rappresenta una risposta concreta e scalabile. Un modello virtuoso in cui innovazione, sostenibilità e valore economico si intrecciano.
Perché, come ha sottolineato Beraldo:
«Non c’è business senza la salvaguardia delle future generazioni».